“La guerra è non capire che l’umanità è una sola. La guerra è credere di essere al centro del mondo e che gli altri non esistano”

24 Agosto 2024
© Daniele Rimi/RN24/AGESCI

“La guerra è non capire che l’umanità è una sola.
La guerra è credere di essere al centro del mondo e che gli altri non esistono”.

In una sala gremita dell’università di Verona, Marco Tarquinio, un passato di capo in agesci, europarlamentare, per 14 anni direttore di Avvenire e Sara Lucaroni, giornalista autrice, ce lo dicono con la forza che deriva dall’esperienza sul campo, avvertendoci che il mondo si trova su una brutta china: 184 conflitti in atto (195 sono i paesi che aderiscono all’Onu).

In questo quadro così deprimente, con le società piene di paure, in cui la guerra talvolta appare come una risposta giusta ed inevitabile, qual è il nostro ruolo?

“Non è il tempo, forse non lo è mai stato, di stare in un angolo”, ci dice Marco. “Dobbiamo infondere coraggio ai ragazzi, la risposta è vivere il gioco della democrazia, con le sue fragilità, ma l’unica risposta alle autarchie che soffiano su quelle paure di cui discutiamo”, aggiunge Sara Lucaroni.

Luigi Pasotti, Incaricato settore Giustizia Pace e Nonviolenza della Regione Sicilia, abile moderatore della tavola rotonda, concludendo ci ricorda le parole di Papa Francesco: “Fate vivere l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause”.

Proviamoci!

Come si fa a educare alla pace in un mondo pieno di conflitti?

24 Agosto 2024
© Gianfranco Scagnetti/RN24/AGESCI

Come si fa a educare alla pace in un mondo pieno di conflitti? “L’importante è seminare”, spiega Shinkuba Sharizan, psicologa sociale e insegnante nella scuola World House – cuore dell’organizzazione Rondine Cittadella della Pace – che accoglie dal 1998 giovani provenienti da Paesi in conflitto o in post conflitto, con lo scopo di scoprire la persona dietro il proprionemico. 

Continua poi il suo intervento raccontando la sua esperienza di incontro con altri ragazzi di paesi in conflitto con il suo e della difficoltà di accogliere il dolore che insieme provano per trasformarlo in un frutto di pace in entrambi. Kakalashvili Tornike, giornalista e studente della stessa scuola, ha invece ricordato che i modi per arrivare alla pace sono non aver paura di fare un passo avanti, dialogare, “esplorare le persone” e ascoltarle attivamente. 

Rosario Valastro, Presidente di Croce Rossa Italiana – impegnata in prima linea nei paesi in conflitto, ha proseguito poi la riflessione nella tavola rotonda sottolineando che educare alla pace significa educare al fatto che la dignità umana non sopporta eccezioni, nemmeno in tempo di guerra e che aiutare chi ha bisogno, stando dalla parte di chi soffre è un mezzo per costruire la pace. “Parlando coi giovani non possiamo passare all’azionesenza prima far innamorare i giovani e le giovani degli ideali”, giovani che sono il presente e non il futuro, ha poi concluso, sottolineando l’importanza di dar loro il protagonismo che meritano.

Marialuisa De Pietro, già incaricata Nazionale – Branca E/G, ha invece raccontato la sua esperienza personale di educazione alla pace, nella vita di tutti i giorni da insegnante, parlando di alcuni bambini nelle sue classi e di come, coinvolgendo i compagni di classe, abbia visto un cambiamento in tutti, un miglioramento basato sul rispetto di chi è in difficoltà, perché diverso non è inferiore; educare alla pace significa anche capire che non è necessario essere d’accordo, ma con il rispetto, anche il conflitto può diventare qualcosa di costruttivo e nel disaccordo si può stare bene insieme.

Possiamo allora sperare in un mondo libero da tutte le guerre? Non sappiamo se sarà possibile, ma continuando a costruire momenti di incontro con altre realtà, con l’ascolto di storie vere eimparando l’accoglienza dell’altro anche nel conflitto si può generare una crescita personale per tutti, che indica la strada verso un mondo di Pace.

Le guerre sono il nostro fallimento di civiltà

23 Agosto 2024
© Gianluca Ermanno/RN24/AGESCI

Un titolo ambizioso in un momento grave come quello che stiamo vivendo in Europa e nel Mediterraneo: felici di lavorare per la pace.

Schierarsi per la pace, a priori: esperienze di vita e azioni concrete. Chi ce lo fa fare? L’AGESCI ha invitato due donne di altissimo livello per un tema così complesso e urgente, la giornalista e scrittrice Paola Caridi, che ha vissuto per 15 anni tra Gerusalemme e Il Cairo, e la responsabile comunicazione di Emergency Simonetta Gola, moglie del fondatore Gino Strada.

“Soprattutto nell’ultimo anno – ha detto Paola Caridi – non è possibile per noi giornalisti vedere la guerra e testimoniarla. Sono stati uccisi oltre 170 giornalisti palestinesi di Gaza, e sono solo loro al momento che posso raccontarla. E secondo me basta il loro racconto della realtà, visto che subiscono in prima persona. Ci stanno insegnando un modo di fare giornalismo che noi non conosciamo, perché non viviamo quel tipo di situazione. È un giornalismo “da pronto soccorso”, d’emergenza, in cui sei giornalista, vittima e testimone nello stesso tempo. Noi ci ammantiamo di una distanza, di una neutralità dai fatti, loro ci sono dentro completamente. 

Parlare oggi di felicità rispetto a Gaza è davvero difficile. Stiamo negando la felicità ai palestinesi. E la stiamo negando nei fatti. Eppure io vedo da tanti anni mancare una storia di quel che accade. È una storia di guerre, sì, ma è una storia di popoli, di comunità, di terre e di alberi, che noi abbiamo guardato come se fosse “la storia di altri”. La sensazione che ho avuto vivendo per dieci anni a Gerusalemme, è di una cecità italiana ed europea nei confronti di quello che stava succedendo in quello che – con termine coloniale – continuiamo a chiamare Medio-Oriente. Guardandolo come qualcosa di molto lontano, di altro da sé, in cui noi non entravamo per nulla. Come se tutto quel che succedeva non ci sarebbe poi ritornato attraverso il Mediterraneo, nelle ondate migratorie e non solo.

Non credo che ci sentiamo felici nemmeno noi di fronte a questo. E allora c’è bisogno di rompere il silenzio.

Ci tengo a citare proprio questa come chiamata ad attivarci, l’ultima poesia di Refaat Alareer, intellettuale e poeta palestinese, professore di inglese ucciso nel dicembre 2023 da un bombardamento mirato di Israele. Va detto che, non a caso, tutte le università di Gaza sono state bombardate da droni israeliani, che individuano bersagli servendosi dell’intelligenza artificiale, tra le altre cose…

Se dovessi morire,
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia… 

(…)

Se dovessi morire,
fa che porti speranza
fa che sia un racconto!

Fa che sia un racconto, questa frase dice quello che manca e dice anche quel che si puó fare in questo silenzio in cui ci sentiamo a disagio. La mancanza di un racconto sulle vite e le morti rende possibile là mattanza in corso, che si possa bombardare qualunque luogo safe e di assistenza primaria. L’unica cosa è rompere il silenzio”.

Simonetta Gola ha mostrato in visione esclusiva il video artistico realizzato per i 30 anni di Emergency, con la voce e le parole penetranti di Gino Strada. Basta guardare e non voltarsi dall’altra parte, riecheggiano le sue parole. “La guerra moderna fa vittime soprattutto civili, fenomeno iniziato con la seconda guerra mondiale, e che si deve alla nascita del bombardamento aereo. Si colpisce la vita della gente, come arma. Si opera la scelta consapevole che le persone comuni non sono più un effetto collaterale, ma un obiettivo strategico. Gino Strada ha dedicato la sua vita e la sua attività a Palestina, Jibouti, Cambogia, Iraq… e aveva a cuore specialmente l’Afghanistan. Io sono tornata lì a luglio di quest’anno. In questo paese il nostro blocco occidentale ha fatto 20 anni di guerra e 241 mila morti. Per lasciare una situazione ancora peggiore di prima. Abbiamo il coraggio di dirci che queste guerre sono stati fallimenti assoluti? Gino proponeva una rivoluzione culturale umana globale, che ci porti finalmente – come un tempo si è arrivati ad abolire la schiavitù – ha svoltare epoca e decidere di abolire la guerra”. 

Non è forse una strada maestra per seminare felicità nei luoghi che più la bramano?